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Warhol kiss – Performance a Piazza Farnese

 

È esistita una “dolce vita” all’insegna dell’happening e della neo-avanguardia, e magari molti di quelli che oggi dicono di vivere d’arte e di poesia o si impicciano vagamente di Cultura non ne hanno una chiara co-gnizione. A questo si può porre rimedio, al di là delle difficoltà del momento contingente, creando spazi e ritagliando tempi in cui eventi stimolanti possano accadere, con la loro carica artisticamente provocatoria, proprio nel mezzo di un ambiente e di contesti riconducibili alla quotidianità, questa sì davvero invadente. In luoghi pubblici, dunque, non specificamente deputati all’esposizione di opere d’arte, la performance compie ancora oggi, dunque, a quanto pare, la sua salutare irruzione ponendosi non come l’ennesima paludata espressione delle “belle arti” ma come una manifestazione a volte estemporanea che promuove un riavvicinamento tra arte e vita, e più in generale l’attenzione a ciò che è artistico ma mutevole, effimero, anti-dognatico, libertario, di certo non oggettivabile nel mercificato oggetto artistico. La reificazione a cui queste manifestazioni si opponevano negli anni ’60 era anche, per estensione, quella socio-politica, ed infatti il situazionismo, movimento essenziale per comprendere la Controcultura di fine anni ’60 ed in particolare il Maggio ’68 in Francia, aveva anche questa dimensione.

È dunque anche per riproporre queste forme di opposizione e di contestazione che giovedì 18 Aprile 2013, in Piazza Farnese, a Roma, ha avuto luogo la performance “Warhol kiss”, appena fuori dal Wine Bar Camponeschi, ma ben all’interno di un programma, l’Electronic Art Cafè, concepito nel 1994, a New York, alla Cooper Union University, dal mostro sacro della critica d’arte contemporanea Achille Bonito Oliva e da Um-berto Scrocca, autore nel 1993 della video installazione nomade “Xerografia”, composta da opere video di 50 artisti internazionali e presentata alla Biennale di Venezia, diretta quell’anno dallo stesso Oliva. Sotto il segno di questo progetto vengono organizzati eventi culturali e artistici sia in Italia che all’estero, sin da quando l’iniziativa fu trapiantata a Roma, e precisamente al Roof Garden del Palazzo delle Esposizioni, con l’appuntamento seriale “Artisti in pedana” proposto tutti i venerdì sera da Oliva per offrire uno spazio in cui gli artisti potessero esporre un’opera, ma anche una performance o una videoinstallazione. In seguito questi eventi furono organizzati circa cinquanta volte nelle modalità più disparate in luoghi che svariano dall’istituzionale all’alternativo, dal museo al ristorante di culto, dall’accademia di cultura straniera all’albergo e alla discoteca, ma oggi, qui a Roma, la location è quella del Wine Bar Camponeschi, in cui, tra un aperitivo ed un piatto stuzzicante con carciofi serviti col gambo all’insù, un pubblico variegato che sembra distaccato e disincantato ma mai distratto o privo d’interesse, ostenta l’assuefazione a questo genere di iniziative come se un po’ tutti fossero reduci da frequentazioni confidenziali con Wolf Vostell o da informali pranzi con Allan Kaprow o complicità di sguardi con Gina Pane o come se già avessero tutti seguito il succitato tour di Electronic Art Cafè in giro per il mondo. Si può altrettanto facilmente immaginare come questo pubblico non sia però neanche – all’opposto estremo – abituato a passarsene le serate in casa, incollati ai canali della residuale TV generalista, ed allora vien naturale notare come l’oggi, pur privo di quell’ondata ideale che caricava di senso le manifestazioni culturali negli anni ’60 e ’70, è però segnato dall’ansia di movida, ed allora ecco che l’operazione di Oliva e di Scrocca “acchiappa sia a destra che a sinistra”, come si diceva una volta, solleticando sia il nostalgico delle nuove avanguardie del secolo scorso, sia l’appassionato delle arti elettroniche, sia quella fetta di pubblico curioso in caccia di emozioni “diverse”, sia quella parte romana anche del più incallito amatore d’arte che non rinuncia a conciliare con l’esperienza estetica il piatto di rigatoni gratis gentilmente offerto dalla “casa” a tutti gli astanti verso le 23:00. Ma è stato verso le 21:15 che si è consumato questo atto unico denominato "Warhol Kiss": promossa da Marco Fioramanti, artista fondatore del Trattismo, che ha esportato in diverse metropoli, da New York a Berlino, nonché editore della versione italiana della rivista di arte e cultura underground e alternativa “Night”, la performance ha visto come prota-goniste Ilaria Palomba, performer e scrittrice del gruppo dei Cardiopatici, e Damiana Ardito (pittrice, modella alternative e performer di origine pugliese), introdotte da Marco Casolino (performer anche lui, noto per la sua azione artistica “L’albatro”, tanto suggestiva quanto fisicamente impegnativa, in quest’occasione invece vestito di nero e con un cappello da gangster anni ’30 ma con una fascia da dandy) e dallo stesso Fiora-manti, che come discreti officianti aprivano la tenda artigianale di sapore etno, realizzata com’era con strisce di stoffa rigonfie come i dreadlocks di un rasta, e di diverse tonalità di ocra, appesa giusto sopra l’ingresso del bar. Teresa Coratella, artista e organizzatrice, seguiva per così dire da dietro le quinte insieme a Claudio Bianchi (artista trattista) lo svolgimento dell’azione, in cui un personaggio col volto pitturato di bianco ed una nera tuba in testa (Daniele Casolino, scrittore anche lui “Cardiopatico” titolare del blog di poesia danielecasolino.wordpress.com, nonché musicista) leggeva una prima parte del testo, fungendo così da narratore di una vicenda torbida quanto ordinaria di una coppia che, in attesa forse di definire meglio la propria felicità, condivide intanto la cannuccia con cui i due aspirano strisce di coca cercando di soffocare conati di vomito bevendo birra e fumando. Un montaggio molto mentale ci propone poi l’identificazione della protagonista con un buco nero, come se sentisse che il nulla che alberga in lei potesse perfino permetterle di deglutire le stelle a cui lei non può paragonarsi. Nel montaggio alternato delle scene si torna ai due alle prese con il cucchiaio, il laccio emostatico e… l’eroina, stavolta. Poi, un altro frammento lirico, su una leggerezza gravida di ansia, che sguscia “nell’utero degl’istanti” mentre “cadono pezzi di mondo… sulle sponde del tempo”. Si rivela lo squilibrio delle forze in gioco: lui usa lei come una bambola-feticcio, le impone il dolore, e lei lo accetta nonostante l’estenuazione: desidera che lui la spinga al limite, è stanca. Strappo di poesia: lei chiede di essere amata per le zone d’ombra più che per la luce, e per tutto l’inespresso, che possiamo immaginare quanto pesi. E lui ora spadroneggia, tronfio del suo sesso, in una sequenza porno sadica che crea nei presenti il famigerato shock dell’arte moderna; ma questa è cronaca di un quotidiano disperato, l’estetica è corrotta, prostituita al servizio di un edonismo distruttivo. Eppure è finzione. Concludiamo che si tratta di post-decadentismo, come quello che permeava tutto l’ambiente della famosa “Factory” in cui Andy Warhol allevava amici e talenti, preparava eventi, girava film, in un’atmosfera di grande intensità ma non certo priva di dissolutezze e stravizi. Ma torniamo al testo del reading: dopo il sesso violento, silenzi sussultori creano spasmi sismici muti. Questa fragilità un giorno esploderà e sbranerà e verrà riassorbita. Una furia soffocata, rassegnata, quella di lei. Intanto le due donne, seminude e velate da stoffe leggere, quasi trasparenti, sono coinvolte in un’iniziazione a due, una session di body painting intimista in cui a turno si bendano l’un l’altra: il corpo della protagonista viene imbrattato di colore dall’altra con ditate, morbide manate, abbracci violenti e languidi alla ricerca della sensazione risolutiva, il corrispettivo dei testi della Palomba, sempre sospesi tra eros e thanatos, e anche forse una sintonia soft-lesbo, forse l’ultimativo assaporamento di una identità in cui il corpo riceva i colori che merita. Il corpo dipinto di bianco si fa oggetto d’arte, ed al contempo rappresenta il femminile, musa poetica travolgente nella sua surrealtà. Il dialogo della coppia nel testo, letto da Daniele Casolino, l’elemento maschile, è invece insano: lei si chiede se può continuare a oscillare tra il volere ed il subire i labili limiti della perversione del suo lui. La morte potrebbe essere contemplata da questo teso menage. Lei si ribella mentalmente agli stupri del suo folle amante e allora lo incita a correre insieme, in macchina, verso un catastrofico, letale orgasmo finale! L’ultimo squarcio lirico sospeso è un lascito: il cuore, l’essenza, il sangue, gli occhi, le cosce, è tutto offerto all’indifferenza dei posteri, affinché forse questa si animi pensando a certi destini disperati; ma l’odore di lui, dell’ amante, lei lo porterà con sé, è la causa prima del sacrificio, è il movente di tutto quell’amore estremo, è qualcosa di sacro.

Questo cozza contro il concetto sintetizzato in uno dei messaggi distribuiti con altrettanti post-it ai presenti prima della performance: “Di due sostanze si compone l’amore: TU e VIVERE”, che a sua volta è invece perfettamente sintetizzato nel bacio finale tra le due donne, che restituiscono umanità ai due corpi sfibrati dalla sfida: il tormento del legame sadomaso si scioglie nella solidale tenerezza da cui quel tipo di maschio non può che essere escluso.

I testi collegati in questa silloge sono tratti da "Fatti male" (Gaffi - 2012) e "I buchi neri divorano le stelle" (Arduino Sacco Editore 2011) di Ilaria Palomba.

Da ricordare anche che Marco Fioramanti prima della performance aveva appeso nel vano di una finestra del bar l’immagine fotografica della sua opera recente più nota: il potente, monumentale modello ligneo di “Arca” che l’artista nel 2012 portò alla Scala Santa di Piazza di Porta San Giovanni, in un’installazione performativa dal titolo “Thàlassa: a shaman session”, con la collaborazione di Kyrahm e Marco Casolino, per la regia di Mauro John Capece. Per una scheda completa su Marco Fioramanti si veda la relativa pagina su Wikipedia: http://it.wikipedia.org/wiki/Marco_ Fioramanti.

 

il7 – Marco Settembre

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