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Recensione di "Elucubrazioni a buffo!"

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Me la vedo brutta, nell'elaborare questa recensione. "Sto preoccupato", direbbe Scapsulo, il protagonista del racconto "Dandysmo coatto", uno dei tanti di questa antologia così particolare, "Elucubrazioni a buffo!" Mai il caso si mostra così sfrontato da sbatterti in faccia tante stranezze senza irritarti: un’offerta speciale. Io potrei essere la ragazza che suggerisce prodotti per la ripulitura del sudiciume che infesta l'abitazione (alludo soprattutto all'appartamento presente nel primo racconto, "Visite inattese", ma non solo), di certi personaggi, che si prende cura delle loro persone fisiche, che riordina gli oggetti… Io li temo, temo la loro mente picassiana, e soprattutto quella dell'autore, che saprebbe ribaltarmi come una costruzione di mattoncini di plastica. Scusi, il7 - Marco Settembre, come le è venuto in mente di propinarci una tale parodia delle televendite, di scomodare la trasmissione della Sciarelli "Chi l'ha visto?" per ritrovare i due gemelli, di frustrarci non facendoci sapere se le cucchiarelle di Ariccia siano adatte a rimaneggiare la brodazza schifosa del sugo fatto da Foster? Come si è permesso di criticare la nostra sana TV, fonte di sonno e di incubo, specchio dell’appiattimento totale del cervello? Si pretende che i sociologi - tale il7 è, per formazione accademica - siano tutti svalvolati, o forse è la società che preferisce restare malata rifiutando le loro indicazioni più illuminate. E in fondo, chi sono io per giudicare? Dopo aver letto questa roba mi sento persa, forse il mio equilibrio è troppo fragile, mi sento perplessa perché mi sono divertita un mucchio a leggere le storie di personaggi, quelli che popolano il libro, che però sono un mucchio di sfigati. Mi viene il dubbio che io abbia una vena sadica a godere delle loro disavventure, ma piuttosto è vero che in fondo, visto lo scenario attuale, non è tanto innaturale identificarsi almeno in parte in questi perdenti incapaci di adeguarsi a questa società straordinariamente specializzata nell’artificiale, nel falso, in tutto ciò che è ingannevole, perfino mortificante. Chi non si adegua è fuori dal sistema, non vale un cavolo, non è nessuno, semplicemente non è… Foster resiste alla tentazione di accendere la TV, rifiuta di scendere a patti con la diabolica TV tutta informazione e quindi nessuna informazione; impossibile considerarla fonte di cultura. La rinuncia a tale integrazione paga il prezzo della disperazione e della solitudine. Solitudine nonostante il caos di personaggi e di situazioni che scombussolano ogni attimo della sua vita. Foster ritorna sempre a se stesso, alle sue elucubrazioni, imprigionato nell’arzigogolo dei suoi pensieri, ecco quindi svelato il titolo: "Elucubrazioni…", cui l’autore aggiunge "…a buffo", per via della presenza della vena ironica. Il libro è divertente, non superficiale. Ogni personaggio è immerso nella brodaglia schifosa della quotidianità, metafora della falsità della vita e della mortificazione che essa infligge. Si assiste all’apoteosi della follia, alla kermesse di stati allucinatori. All’autore, che di certo è pazzo solo in senso estetico (anche se a mio parere non sbagliava Josè Luis Borges nell’affermare che lo scrittore scrive sempre la sua biografia, non si esce dalla propria soggettività), riconosciamo il grande impegno psicologico. Ha calato i personaggi nel mondo liquido dell’inconscio, utilizzato per far emergere una delle caratteristiche più profonde dell’animo umano, di solito mascherate, se non stravolte, dall’ipocrisia sociale. Il dialogo tra i vari personaggi è svincolato dalla normale catena logica degli eventi reali. Desideri, pulsioni, malessere, disagio… Assente dal loro pensiero qualsiasi controllo da parte della ragione, "secondo il dettato surrealista", argomenta il7, che a mio parere ha composto un’opera però picassiana, del Picasso del periodo surrealista, magari, che egli cita efficacemente in un punto del testo che non rivelerò. La vita dei protagonisti sembra non dipendere da loro stessi. Alcuni sociologi hanno chiamato tale tecnica “pseudo-avvenimento” in quanto si presenta con la serietà e l’aggressività di una profezia. Quella del 7 è una scrittura caratterizzata da apparizioni fulminee e rapide scomparse. Una Gioconda, a dirla come i dadaisti, che bisognava fornire di baffi. Uno sfregio dunque alla scrittura classica, dalle belle forme. Calato ormai nell’immensa disperazione, l’uomo, mediante la liberazione dell’inconscio, getta un ponte tra ragione e follia, tra percezione e rappresentazione. Marco il7 sfrutta gli stati psicologici dei personaggi per farne la fonte narrativa. Con astuzia e abilità si serve del pensiero paranoico manifestato attraverso pretesti e coincidenze per poi impastarlo di humour. Realizza il mondo delirante della irrazionalità concreta: la presentazione di un elemento logico in un contesto illogico, la critica mascherata da provocazione... Il tutto pervaso da conclusioni cariche di amarezza. Situazioni da film con scenografie deformate, molto americane sia nello stile del linguaggio che nella rappresentazione visiva: il dialogo disturbato dall’apparizione di numeri, da una strana tombola, in particolare, forse a simboleggiare l’intromissione di altri pensieri mentre si tenta di seguire una logica o una non logica. "Io non credo", dice il personaggio editore allo scrittore intelligente ma sfigato, "in certe elucubrazioni contorte, negli alambicchi stilistici… mi innervosiscono perché sento che il lettore più pigro si smarrisce in certi gangli della linguistica… nei labirinti di specchi deformanti…": è evidente qui la critica al lettore mediocre appiattito sulla semplificazione dei significati e delle idee. In "Lato", ancora, Marco scrive: "i sogni devono restare concreti, altrimenti la gente rischia di crederci troppo, o di non crederci per niente, bisogna che si reinventi l’esistente". Ma come sarà possibile reinventare l’esistente? Forse riscoprendo i valori della letteratura e dell’arte, più duraturi di ciò che produce il mondo politico, editoriale, artistico, sociale, ecologico… Non si può essere cannibali di cultura in una società con il suo problema di qualità dell’informazione se non si possiede il senso critico. Bisogna ridiventare cacciatori, spegnere la TV alla ricerca della preda migliore e più utile.
La pazzia veste abiti femminili in "Mi hanno portata via", ed è libera di fare anche cosacce. Soprattutto quelle. Questa donna capace di fagocitare ogni problema, produce quel piacere che solo i folli conoscono. Gridare in faccia a tutti la verità è però sinonimo di pazzia. Ma senza la pazzia la realtà è insopportabile, meglio è che la realtà rimanga il canovaccio per le nostre fantasie. Il mondo è fonte di perenne disgusto, è un concetto che emerge invece in "Dandysmo coatto". La famiglia Crombi non è certo l’esempio cui si è affidato Baudelaire: il suo dandy deve aspirare senza tregua a essere sublime, deve vivere e dormire davanti a uno specchio. Quello dei Crombi riflette la loro natura trucida "e quando non risolvono coi soldi o con le truffe mollano mazzate". Il cattivo gusto degli arricchiti è il concavo o il convesso del ridicolo, del festival dell’apparire ciò che non si è. Il volgare agisce come tutti e non va d’accordo con nessuno. L’ascesa della piccola borghesia avviene attraverso la trasformazione della rozzezza nel feticismo degli oggetti cafoni, che di lusso hanno solo il prezzo. Lo sfoggio ridicolo e grottesco delle loro elucubrazioni pseudo-culturali, il volgarume e la grossolanità sfociano persino in brutalità e appaiono di un realismo schiacciante. Realismo presente anche nel racconto apparentemente surreale e grottesco "Femmine di castoro": la parrucchiera nana che ha conosciuto solo uomini in miniatura e che rivela la falsità del detto "nano tutto caz.."diventa la giustiziera della superficialità. Infelice, stanca e disgustata di ascoltare le lamentele futili e banali delle agiate clienti, ordina al marito di uccidere il gatto di una di loro per suscitare in lei una vera sofferenza. Ogni racconto è un ensamble casuale e caotico di scene surreali, terrificanti e grottesche, al confine del libero ragionamento. Un processo spietato agli dei falsi e bugiardi, ai miti dissacranti della nostra società, parodia dei politici razza aliena, gli anticristo dediti al sacro rito del trappolone, abili ad infierire su una massa umana senza ambizioni. Umanità soggiogata, in "Far finta di niente", dalla pubblicità ossessiva, controllata dalle intercettazioni, spiata senza scampo, addio libertà, ma d'altronde si tratta di un mondo post-sciagura nucleare, in cui è rimasto poco o nulla da salvaguardare. Inoltre, il racconto "Ab origine" sembra suggerire che ad originare la terra dove vive questa umanità, riflessa in una razza parallela alla nostra, siano state le sacre e dolci menzogne che saranno perpetuate ab aeterno. E allora cosa potrà fare Romualdo, il portiere in età di pensione, che avrebbe dovuto capire qualcosa di come va la vita, dove ognuno si fa gli affari suoi? In questo contesto di egoismo esasperato Romualdo matura l’idea astratta che può contare solo sul suo cervello, sulla sola percezione di sé, diventa una monade indipendente, senza influenze esterne, non manifestando altre attività se non quella dell’attrazione e della repulsione. Non sopporta l’incomprensione all’interno della famiglia, e allora sceglie la strada, diventa un barbone, incappa in balordi teppistelli che lo picchiano, lo caricano sulla macchina per poi abbandonarlo da qualche parte. Il club dei teppistelli è incentrato sul rispetto coatto (del "sei uguale a me"): ogni diversità che non sia la loro è avvertita come pericolo o come qualcosa di cui negare l’esistenza. In realtà reagiscono in tale modo bruto alla tristezza e allo squallore della propria vita. La rabbia apparentemente non chiede niente, invece ha bisogno di qualcuno con cui prendersela, per giustificare una vita di violenza, di botte, di infelicità, di mancanza di affetto. Più vittime che protagonisti. Romualdo propone di unire la rabbia con la riflessività perché non di eroi ha bisogno la vita ma di sognatori capaci di preservare la propria libertà. Picasso surrealista - lo abbiamo accennato in precedenza - affermava che l’arte è una menzogna che ci permette di intuire la verità. Il7 - Marco Settembre permette, attraverso i suoi assurdi personaggi, di riflettere sull’esistenza, sull’uomo, sulla felicità, sull’amicizia. Certo, non è sempre agevole il riconoscimento delle connessioni tra i protagonisti, bisogna sapersi calare nel gioco, accettare i rimbalzi e le rifrangenze. I racconti somigliano alle illustrazioni di Matt Blease (http://mattblease.tumblr.com/). La narrazione è un susseguirsi di drammaticità e ironia con atmosfere surreali, favolistiche forse, ma più propriamente, come afferma il7, avantpop, un pastiche postmoderno in cui ho avuto a volte l'impressione che i personaggi passassero l'uno nell’altro. La scrittura dell’autore appare sfrontata, ma con un certo compiacimento della catastrofe e della sofferenza umana, tale da rendere i personaggi carichi di molteplici significati. Si muovono in un contesto problematico, conflittuale e sconvolgente, trascinati quasi da una isteria collettiva. Una girandola di strane figure che nonostante tutto sono dotate di una forte identità. Incredibile come Marco il7 abbia potuto affibbiare quei nomi ai suoi protagonisti, poi. Chi o cosa sarebbe riuscito a tanto, se non la sua fervida immaginazione? Forse anche questi nomi sono stati una specie di presagio della vita dei personaggi. Ogni nome reca una certa carica di destino. O no?

Delfina Ducci


 

Mercoledì 1 Luglio 2015 18:30

 

Recensione di "Elucubrazioni a buffo!" di Delfina Ducci 
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