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Cosmopolis, l’implosione nevrotica del capitalismo

 

Era auspicabile che, in un periodo in cui rischiamo di dover razionare anche l’acqua per la pasta oltre alla benzina nell’automobile, e in cui alla guida del paese c’era un governo estremamente ā€œtecnicoā€ che però pare abbia perso l’appoggio dei ā€œpoteri fortiā€, sopraggiungesse qualcuno o qualcosa a fornirci qualche ragguaglio ā€œteoricoā€ con tanto di ā€œmessa in prospettivaā€ e non senza una certa eleganza nell’argomentazione para-filosofica, collocandosi a metĆ  tra la parabola ad uso dell’uomo della strada e la silloge di spunti di riflessione ellittici. Questo qualcosa ĆØ ā€œCosmopolisā€, l’ultima pellicola di David Cronenberg, in cui il cineasta canadese miscela diverse delle sue ben note ossessioni con la tematica di sapore fanta-politico-economico ma di cui possiamo assai facilmente scorgere gli immediati prodromi proprio nel mondo in crisi che ci circonda. In effetti, la tipica contrapposizione sincretica tra mente e corpo, tra strutture razionalistiche e visceralitĆ  del desiderio qui si misura con uno scenario planetario il cui senso viene ormai per lo più inutilmente investigato anche da chi ĆØ preoccupato non dall’estetiche e dai nodi dell’antropologia ma semplicenente dalla gestione delle utenze casalinghe. Il film ĆØ infatti tutto declinato attraverso il punto d’osservazione di un magnate della finanza giovanissimo; viene suggerito che le carriere più brillanti e le ascese più vertiginose saranno sempre più esclusivo appannaggio di una classe di individui freddi, rampanti e in carriera sin dai primi vagiti. Robert Pattinson, prescelto per la parte dopo aver scavalcato la prima scelta Colin Farrell, si dimostra perfetto, lasciandosi alle spalle il ruolo sostenuto nella saga di ā€œTwilightā€ (e da cui giĆ  aveva preso le distanze, per la veritĆ , lavorando in ā€œBel Amiā€), e conferendo al protagonista il giusto mix tra algida indifferenza e spigolositĆ  tormentata in incubazione, tanto da meritarsi, sullla locandina, il nome in caratteri cubitali alla pari col più maturo regista. L’agente di borsa plurimionario Eric Packer ĆØ in effetti il nucleo del film, la cui vicenda per buona parte ĆØ incapsulata nel suo bozzolo ambulante, la limousine scortata da guardie del corpo, all’interno della quale si sposta per tutta la cittĆ  prevalentemente a passo d’uomo (a causa del traffico dovuto alla contemporanea visita del Presidente USA alla Grande Mela), diretto in particolare verso il suo barbiere di fiducia, all’altro capo della metropoli, ennesima autoconcessione poco pratica ma sfiziosa di un personaggio che può permettersi tutto, dal più idiosincrasico capriccio al possesso smodato e divorante di ogni cosa egli abbia a desiderare. E cosƬ, mentre Packer vive la sua giornata osservando dai finestrini la vita scorrere, immobile, in un eterno presente, con l’obiettivo secondario ma non meno importante di ā€œaggiustare il taglioā€, il taglio registico si presenta invece insistentemente claustrofobico nello snocciolare gli incontri, i colloqui e gli abboccamenti di lavoro del protagonista sempre dentro lo spazio iperprotetto, uterino e ipertecnologico e stylish della limousine, ideale non-luogo ed antro ginecologico in cui decidere, con sovrano disprezzo verso il mondo reale, sia i destini del flusso di denaro virtuale sia le posizioni del coito con l’amante. Accanto agli atti sessuali consumati in auto con toni da consumata libidine rituale e accompagnati da battute di dialogo sulla natura del desiderio, lato corporale e perverso della dimensione eccezionale di Packer rispetto ai comuni mortali, viene dato ovviamente ampio spazio alle discussioni professionali sullo spessore e la sostanza levigata, ma dal ventre molle e canceroso, della realtĆ  fittizia che sta consumando quel cosmo supposto ordinato (dal capitale) cui allude il titolo. E tali dissertazioni in forma di dialogo risultano l’equivalente altolocato e sofisticamente irraggiungibile delle chiacchiere da bar, per l’aleatorietĆ  ed il distacco con cui vengono pronunciate, fornendo un’interpretazione insistitamente elucu-brata delle analisi filosofiche o economiche che riempiono la letteratura sul post-moderno. In questo modo, lo spettatore medio del film può risparmiarsi di leggere classici come ā€œLa crisi della modernitĆ ā€ di Harvey o il più recente ā€œModernitĆ  liquidaā€ di Baumann, ascoltando sedicenti consulenti o altri personaggi illustrare con diversa profonditĆ  e in frammenti incandescenti e a volte impenetrabili le diverse sfaccettature di un mondo inafferrabile, le cui apparenze caleidoscopiche mal celano la marcescenza. "Un uomo riesce a distinguersi ed emergere con una parola ma riesce a cadere con una sillaba". A proposito di letteratura, il progetto ĆØ la trasposizione cinematografica dell’omonimo romanzo di Don De Lillo, in cui una certa iterativitĆ  dei pensieri ed una linea temporale piuttosto disgiunta tra narrazione al passato vissuta come presente e forte sentore di futuro assumono la forma e forse anche il respiro di un classico come lā€™ā€Ulyssesā€ di James Joyce, ed infatti la storia si snoda lungo il corso di un’unica giornata nella quale l’iperintellettualismo dei modelli letterari si sposa con quello del regista e con lo stile di vita apparentemente impermeabile alla vita vera di questo giovane ā€œvampiroā€ abituato a confrontarsi più con gli indici di borsa che con le persone, specie quando non riesce a ā€œpossederleā€, come nel caso della sua giovane moglie aristocratica e dalla diafana e ipnotica bellezza, che asessuatamente procrastina il contatto carnale dimostrandosi in ciò altrettanto inumana, sep-pure in una forma diversa. Ma ĆØ il futuro, e le mutazioni, fossero anche solo psicologiche, sono da aspettarsi. In questo senso ĆØ stato scritto che il regista ha continuato a sperimentare anche in questo film, pur adottando il testo di De Lillo come se fosse una sceneggiatura ā€œgiĆ  prontaā€. Cronenberg infatti rispetta la struttura del romanzo, basata sui dialoghi cerebrali, ma vi sovrappone il suo sguardo, articolato su allusioni e metafore visive, come quella della limousine, simbolo d’un mondo (quello della speculazione finanziaria) chiuso in se stesso, ma anche come quella dell’irregolaritĆ  che emerge nel protagonista (il taglio di capelli non completato, la prostata asimmetrica), dettagli che significativamente spezzano l’estetizzante ordine che il famigerato un per cento del mondo (i detentori del potere economico) pretenderebbe di imporre artificialmente, per i loro interessi tutt’altro che lineari. Il mondo reagisce anche se in maniera discontinua, caotica, a questo status quo: le strade di New York sono affollate per la visita del Presidente americano, ma ogni sommovimento ĆØ visto dall’interno della limo solo come l’ondata fisiologica e transitoria di un disagio primitivista che non tange chi può manipolare i massimi sistemi della valuta. Tuttavia i segni dell’inquietudine si lasciano più che intravedere: l’impennata monetaria dello yuan che preannuncia l’imminente fine del capitalismo selvaggio, e, a livello personale, Packer che cita Sant’Agostino quando dichiara: ā€œSono ormai un enigma per me stesso e questo ĆØ il mio malessereā€. Ed infatti, malgrado la sua irraggiungibilitĆ , l’uomo sembra spesso restare un palmo avanti rispetto ai suoi interlocutori proprio perchĆ© sufficientemente narcisista da spingere la sua analisi anche su se stesso, e compiacersi del suo maledettismo patinato che ne fa un degno oggetto di questo pezzo di teatro contemporaneo in pellicola. La verbositĆ  spinta del film infatti ĆØ stato osservato che logora la capacitĆ  d’attenzione dello spettatore, ma al contempo prosegue la linea intrapresa con ā€œA dangerous methodā€ e aggiunge questa nuova variabile stilistica para-letteraria, appunto teatrale, e coltamente didascalica, ad un impianto visivo che rimanda invece ineludibilmente alla narrativa di Philip K. Dick, con il testo alla base del film ā€œBlade Runnerā€ in testa. Mentre dunque dall’esterno si scatenano attacchi di folle indiscriminate contro la limousine abbozzandola a calci e deturpandola con scritte eseguite con lo spray, ed il suo autorevole occupante lascia che a difenderlo siano le guardie del corpo, all’interno del raccolto spazio metafisico dell’automobile, opprimente nonostante la decantata spaziositĆ  multiaccessoriata, con degli schermi sempre accesi su una realtĆ  costantemente ā€œmediataā€, si fa strada, oltre che il desiderio sessuale del protagonista alle prese con le sue amanti, anche l’anelito ā€œonni-potenteā€ al possesso della ā€œCappella Rothkoā€ di Houston (1972), che il rampante giovanotto vorrebbe far trasportare ed incapsulare all’interno della sua dimora per fagocitare anche la dimensione spiritualistica ed artistica più ineffabile, ed inoltre il timore paranoico, tipicamente da egocentrico di potere, che qualcuno voglia ucciderlo. Nato mutante (ā€œSiamo stati allevati dai lupiā€) capace di conoscere solo attraverso il possesso e l’esclusione dell’Altro, ora ĆØ minacciato dall’umano, a cui tende ad avvicinarsi auto-distruttivamente. L’entropia ĆØ in effetti ad un passo: il funerale di un musicista noto ammirato dallo stesso Packer (simbolo forse delle avanguardie ammortizzate dal Sistema), le agitazioni dei manifestanti che attaccano la sua proprietĆ  privata (l’auto) e minacciano lui stesso con l’azione situazionista di un terrorista pasticcere (per non dire della trovata pure debordiana dei topi morti lanciati sugli avventori di una tavola calda o rappresentati con pupazzi oversize), e gli effetti sociali del terremoto finanziario, sembrano lentamente risucchiare il protagonista verso un cono d’ombra: lo stesso miliardario ha perso buona parte del suo capitale nella catastrofe delle borse, la giovane moglie seppur con modi soavemente civili, quasi (anche lei) da replicante, decide di separarsi da lui, che dichiara poi di sperimentare un senso di libertĆ  mai provato prima. "Il denaro parla a se stesso ormai: ha perso la sua forza narrativa come la pittura". Se anche il ā€œgolden boyā€ sente di non avere più molto da perdere, ĆØ facile che si esponga a rischi che non ĆØ abituato a fronteggiare: il confronto serrato con la sua dark side fa assumere alla vicenda i contorni di un’odissea in una apocalissi simbolica, anche se, lo ribadiamo, vissuta quasi tutta in forma introflessa, non esplicitata dall’azione. Quando Packer rinuncia in maniera drammatica (non vi diciamo come) alla sua guardia del corpo dopo aver osservato dei ragazzi che giocano a basket in un playground, immagine della sua gioventù sa-crificata all’aviditĆ , si avverte che egli ĆØ giunto ad un punto di non ritorno. Cronenberg vince dunque la sfida di creare un’opera squisitamente cinematografica per la pregnanza visiva pur restando fedele allo spirito concettoso e introspettivo del romanzo, tuttavia ĆØ irrefrenabile il brivido quando Packer ormai, rapito dalla sua parte animale, si spinge da solo in caccia del suo attentatore, pistola futuribile alla mano, in un block fatiscente, quindi fuori dalla sua giurisdizione esistenziale. Si suppone in quei momenti che forse il finale ci offra più movimento, ma anche qui il duello ĆØ intellettuale, in realtĆ , tra due aree di pensiero inconciliabili. L’anti-cinema di questo prodotto di Cronenberg materializza, in queste scene finali, la metafora più potente racchiusa nel film, il suo core ideologico, la citazione di Marx ed Engels che appare in un maxischermo visto attraverso un finestrino della limousine all’inizio del film, cioĆØ la scritta: ā€œUno spettro si aggira per il mondo: lo spettro del capitalismoā€ (memorabile incipit del Manifesto del Partito Comunista del 1848). In effetti, nella sezione finale, questo spettro ĆØ Packer, ridotto(si) semivolontariamente all’ombra di se stesso, e certo non sembra più voler rappresentare le ā€œmagnifiche sorti e progressiveā€ del capitalismo odierno, ma piuttosto voler misurarsi col mondo selvaggio, non edulcorato e potenzialmente incontrollabile, che lui aveva sempre cercato di ignorare. Il suo travaglio ĆØ nel confronto ultimativo tra la sua coscienza di essere umano esposto e il suo naturale antagonista, portatore di una coscienza non customizzabile, ā€œdeprivataā€ socialmente, corrispettivo ā€œcavernicoloā€, nel suo tugurio, della soggettivitĆ  altrettanto estrema e claustrale, ma viziata, del protagonista. Ecco che Cronenberg recupera a questo punto la qualitĆ  materica, la ā€œsporciziaā€ caratteristica di alcuni tra i suoi più tipici set, basti pensare a ā€œIl pasto nudoā€, e questo ancora una volta in contrapposizione all’asetticitĆ  degli ambienti cari a chi abita preferibilmente una realtĆ  di simulacri, ma soprattutto ancora una volta ci mostra il momento in cui la stabilitĆ  delle identitĆ  e dei Sistemi vacillano, momento che qui, come ne ā€œIl pasto nudoā€, coincide, per citare le parole del regista, col ā€œmomento unico e bloccato in cui ciascuno vede ciò che c’è sulla punta della sua forchetta: cioĆØ quel momento in cui ci si rende conto che la realtĆ  non ĆØ che una possibilitĆ , debole e fragile come tutte le altreā€. Questa, per Packer, ĆØ la sua nemesi, il non plus ultra abissale della sua… ā€œeXistenZā€, il livello in cui il videogioco della sua vita virtuale gli sbatte sul muso il ā€œgame overā€. Le coloriture cultural-psicologiche arrivano al massimo stridore nel cozzo tra le due weltanschauungen, ma l’opposizione del giovane miliardario ĆØ debole, un’intera epoca tramonta con lui con toni lugubri per chi ha condotto i giochi fino a ieri. Oggi ogni capsula protettiva ĆØ venuta meno dinanzi all’irruzione di quell’umanitĆ  a lungo tenuta affossata da un manipolo di magnati pasciuti del dolore e della disperazione altrui. Paul Giamatti, un’attore ormai ampiamente segnalatosi all’interesse del mondo della celluloide e anche del più vasto pubblico, incarna sino in fondo, col suo volto profondamente umano che sembra rifiutare radicalmente qualsiasi artificio cosmetico e qualunque taglio di capelli edonista o ā€œplastificatoā€, quello spirito emarginato pronto ad eruttare alla superficie della Storia, secondo le note e finora disattese previsioni di Marx, e dĆ  luogo ad un confronto serrato, pregno di veritĆ  non comode, di ā€œpulpitiā€ magari sgradevoli, che fa presa sullo spettatore per quanto quest’ultimo possa essere estenuato dalla densitĆ  della visione e dall’ascolto. La più lunga standing ovation (undici minuti) del Festival di Cannes 2012 ha premiato un lavoro all’insegna dei contrasti forti, da cui emerge sia il corpo che lo psichismo, com’è tradizione cronenberghiana, ma stavolta tanto contemporaneo (ormai) e necessario, quanto il romanzo di De Lillo ĆØ stato profetico. E se il caos a cui andremo eventualmente incontro dopo la depurazione dalle dere-gulations del capitalismo seguirĆ , come teorizzato nelle scene finali, le asimmetrie dell’anatomia umana e/o sarĆ  quello del dripping pollockiano su cui compare il titolo del film all’inizio, in molti suppongo saremo pronti ad immergerci fiduciosi, concordi con la convinzione di Cronenberg che ā€œl’Arte ĆØ sovversiva perchĆ© fa appello all’inconscioā€ contro le ingiuste repressioni della civiltĆ . Il Freud interrpretato da Viggo Mortensen in ā€œA dangerous methodā€ a questo punto direbbe: ā€œL’ho sempre sostenuto!ā€

 

 

il7 – Marco Settembre

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